Article by Domenico Pisane:The secret of love between dreams and reality (Azerbaijan.The poetry of Tarana Turan Rahimli)

Azerbaigian.La poesia di Tarana Turan Rahimli…di Domenico Pisana

II mistero dell'amore tra sogno e realtá

(“Ho amato persino la pietra”, Edizioni il Cuscino di stelle 2023, traduzione di Claudia Piccinno)

Una poesia nutrita di profili incisi di comunicabilità, attraversata da forme semantizzate in complessi emozionali, e movimentata da raggruppamenti fonici e segni espressionali, è quella che emerge dalla raccolta Ho amato persino la pietra, Edizioni il Cuscino di stelle 2023, della poetessa dell’Azerbaigian Tarana Turan Rahimli.
L’autrice, nata a Baku, capitale dell’Azerbaigian, tradotta dall’inglese dalla poetessa pugliese Claudia Piccino, è docente del Dipartimento di “Letteratura dell’Azerbaigian e del mondo” nell’Università Pedagogica Statale, nonché docente di letteratura giapponese nella Facoltà di studi orientali dell’Università Statale di Baku, e sue opere di poesie e prosa sono state pubblicate in Turchia, Russia, Ucraina, Kazakistan, Iran e altri paesi.
Il titolo, che è tratto da una poesia del volume, disegna le coordinate di un tema che un topos della poesia e della letteratura, ossia l’amore, che nasce, si dissolve, muore, riaccende sogni, suscita voglia di musica nell’anima della poetessa, inseguendo l’ebrezza delle note sui tasti del cuore e anelando a parole di verità per essere riconosciuto:

“…Sceglieranno solo le parole
E le conserveranno.
Mi riconosceranno
Dal mio amore!” (p. 6).

Tarana Turan Rahimli vive l’amore nei suoi stati suggestivi e intellettuali, e come spinta a una interpretazione affettiva di tutto il repertorio delle immagini, ove si misura la sua diversa osservabilità della vita: “...Lascia che le tue parole rimangano sulla tua lingua…Ci siamo sempre promessi l’un l’altro, / Di recitare parole fino alla fine della nostra vita. “(p.10).
La tensione delle corrispondenze dà forza agli episodi e alla sorgente del suo canto e bagna di dolore la narrazione, che si basa sul debito d’una scelta e il destino di un momento d’amore. E così, la poesia di Tarana Turan Rahimli diventa voce abbuiata e affaticata che grida la sua dolorosa perplessità, ritesse la trama dei quotidiani rapporti e si concretizza, spontanea nelle predilezioni e coerente per esperienze vissute, nell’atto creativo, ritoccando la propria immagine:

Ancora una volta i miei occhi hanno freddo,
Quanto sono freddi i tuoi sguardi.
Come se la tua lingua fiammeggiante fosse congelata ,
Non c’è calore nelle tue parole.

Il ghiaccio è sospeso sulle tue ciglia
I fiocchi di neve sono sparsi sui tuoi capelli.
Come se con le tue labbra baciassi
La guancia dell’inverno.

Tu hai fatto rabbrividire di freddo il mio spirito,
Il tuo cuore è ghiaccio, le tue mani sono neve.
Non mi rattristo perché sei così freddo,
Ho amore persino per una pietra. (p.12).

Il colloquio poetico dell’autrice è, di volta in volta, dimostrativo o nozionale o anagogico, connotato delle parole indispensabili che diventano ora un lungo segno di tenerezza, ora un messaggio forte verso donne sposate che si sentono sole, ora attenzione verso la propria figlia, ora richiamo all’uomo rinchiuso nella sua solitudine, ora colloquio con i poeti che “si ripiegano su se stessi”…./ Nascono e muoiono mille volte…/ Muoiono impiccati dalle loro parole,/ Non lasciano che le parole vengano soffocate /, Sono stanchi e logorati dalla vita, / Muoiono per tornare in vita”(p.23).
Il poetare della Rahimli si dispiega sulla pagina come parola inesauribile, diventa – direbbe Taylor Caldwell “il fedele riflesso dell’intrecciarsi della realtà, l’espressione naturale dell’essere, resa con passione, autenticità e vivezza, permeata della forza e della vivacità individuale”(1) , riuscendo in tal modo a oggettivare il dolore o il riso dei giorni, il fervore della meditazione e l’affanno della ricerca, l’apertura alla Trascendenza e al divino con domande, dubbi, paure, irrequietezze e percezioni dell’anima:

Mio Dio, chi mi sta cacciando?
Chi mi fa rimanere senza fiato?
Chi affretta la vita?
Chi si affretta dentro di me? …

Gli anni sono un treno veloce,
Il mese inizia come inizia…

I momenti si immergono nella memoria.
Tutto scorre e diventa passato…

Vado ad abbracciare il giorno dopo,
non vivo più la mia vita,
Ci volo solo sopra (p.27).

Questa apertura religiosa si esprime anche nella poesia Sarebbe meglio solo per un giorno essere bambino nelle braccia di Dio, ove la poetessa vive momenti di un empito espressivo fatto di immagini e riflessioni: “un’ape”, i “fiori”, “le labbra”, “il respiro”, “la terra e il cielo”, “ il sole”, “le stelle” giungendo, nella quartina finale, ad una esortazione di riferimenti spirituali essenzializzata nello sviluppo di brevi segni e profili esortativi: “Lascia che il grande Dio ti protegga…/ Lascia che tu tenga la mano di Dio /La luce di Dio nel tuo cuore / Sarebbe meglio solo per un giorno / Essere un bambino tra le braccia di Dio” (p.32).
Tarana Turan Rahimli offre al lettore una visione esistenziale ridotta alla nuda essenzialità; è una poetessa pensosa, inquieta, compartecipe della sofferenza umana, delle malattia: “…Cosa nascondeva la gente. / Il destino stava indebolendo / Chi aveva bisogno di sangue. / Il cuore del dottore / Che visitava i pazienti / Era sofferente / I malanni / Come la talassemia e l’emofilia /Avevano sete di sangue…Ho visto il colore del dolore / Sul volto di un bambino / Che non era a conoscenza del suo dolore”, p. 36; è una poetessa che sul piano formale disegna l’essenza dell’uomo con metafore e plessi semantici che assumono significati simbolici e metalinguistici: gli essere umani sono “come un albero da frutto”, “come un fiore”, “come la terra”, “come una pietra”; è, insomma, una poetessa che sa dare voce di canto alle situazioni interiori di sofferenza, di fuga, di ricerca, di sublimazione che agitano l’animo umano.
Ho amato persino la pietra è, per concludere, una silloge poetica che dà alla pietra una polisemica significazione; se il poeta Lucrezio diceva, nel suo De rerum natura, “Gutta cavat lapidem”( La goccia scava la pietra) per sottolineate come una goccia, con il tempo, riesce ad avere la meglio sulla dura roccia, allo stesso modo per la Rakimli l’amore paziente e perseverante ( “…Non c’è fine per la mia pazienza nel sopportarti” dice in un suo verso la poetessa…) può ottenere qualche risultato anche quando trova “esseri umani, / Che sono come una pietra”; anche quando il silenzio “costruisce muri”, e “La via…è piena di lacrime”.
Alla radice della poesia di Tarana Turan Rahimli c’è sicuramente una profonda spiritualità; c’è un leggere il mistero della vita alla luce dei suoi valori eterni, la rivisitazione di sensazioni nascoste maturate all’ombra del “sacro”; c’è la forza delle idee e degli affetti e le parole ne sono le ali.
Si tratta di una poesia che si costruisce, verso per verso, da ciò che sbalordisce la poetessa: felicità o infelicità, gioia o dolore, stanchezza o malinconia, luce o ombra, e che in Lascia che io sia la tua Patria con cui si chiude la raccolta, esprime la nobiltà di un sentimento che affida ad un “oltre” il “sensus” dell’esistere e dell’essere e che si connota come proiezione piena della coscienza dell’ “essere poetico”, aperta all’avventura della parola innestata nella geografia dell’anima:

“…Lasciami tentare di renderti un po’ fortunato.
All’interno di te tieni uno spazio per me,
Lasciami morire in patria quando io l’attraverserò.” (p. 41)

(1) T. Caldwell, Sognare è soffrire. Valori Piperno, pag. 475. 3, Jandi Sapi. Roma, 1949, Traduzione.

Domenico Pisana

Marzo 13, 2024

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